“Certe cose si capiscono SOLO dopo. MOLTO dopo. TROPPO dopo”.
E’ vero che vuoi cambiare?
L’ho visto succedere un sacco di volte. In un momento di disperazione (e di lucidità) hanno giurato a se stessi che avrebbero cambiato il loro modo di fare e avrebbero dato una svolta, ma poi ripiomba nella quotidianità e nel meccanismo che ha sempre messo in atto.
Perché?
Perché quello è il suo mondo. E soprattutto è quella la sua zona di comfort. Un cieco non può percepire i colori e le forme. Ma spesso la natura ci ha messo a disposizione gli occhi nel pieno delle sue funzioni, per guardare da lontano, eppure non ci vogliamo guardare così lontano, troppo pericoloso.
Il cambiamento comporta un nuovo equilibrio…..ma è faticoso cercare un nuovo equilibrio, sembra meno faticoso di quella messa in atto del “sacrificio” che ci hanno insegnato sin da piccoli: se lavori a testa bassa per 14 ore al giorno, allora ti troverai sempre bene nella vita?
Non hanno cantato sempre questo anche a voi?
E’ questa la domanda che ieri ho fatto a Enrico…..perché non ti basta ancora? Perché non vuoi analizzare il cambiamento da mettere in atto?
Enrico è socio di un’attività nell’ambito della produzione e commercio di mobili da giardino. Ha poco più di 40 anni e viene a trovarmi a studio, dopo aver chiesto un appuntamento per una consulenza spot.
Enrico mi racconta che da anni lavora per circa 12 ore al giorno. Si tratta di 4 soci. Mi dice che percepiscono un piccolo stipendio al mese (circa 900 euro) perché hanno sempre reinvestito nell’azienda e quindi
non c’erano soldi per pagarsi uno stipendio più alto.
Io penso tra me e me che bisognerebbe fare un’analisi un pochino più accurata dei flussi di cassa….ma per ora lasciamo stare questo discorso, che mi pare meglio.
Lo scorso anno arriva un accertamento fiscale.
L’organo accertatore ha emesso un avviso di accertamento per circa 280 mila euro. Enrico è abbastanza sconvolto, dice che
non sapeva che con una Snc egli avrebbe rischiato i beni propri
(solita storia, penso io!).
Davanti a me un ragazzo distrutto, che mi dichiara di essere una persona troppo razionale per comprendere quello che sta succedendo, perché dice di ragionare in maniera schematica. “Lavoro così tanto, prendo così poco……ma come è possibile che oggi mi dicano che abbiamo guadagnato di più? Ma non è vero! Come fanno a dire una cosa del genere?”
Enrico non ha uno straccio di documento sulle mani, lo chiedo ma capisco che lo ha condotto da me la sua disperazione, che non avrebbe voluto nemmeno tenere in mano dei fogli che ai suoi occhi corrispondono ad un missile con una potenza di fuoco sulla sua anima.
Gli spiego, pur non avendo niente sulle mani, che probabilmente l’organo accertatore ha eseguito un controllo sulla base del calcolo del ricarico. Mi conferma che effettivamente ha sentito parlare di questo in azienda.
Non mi pare il caso di spiegare tecnicamente i diversi tipi di accertamento (quella è materia di noi commercialisti e non è utile al cliente).
Gli dico semplicemente che gli accertamenti da ricarico più frequenti sono quelli analitico-induttivi.
Mi chiede subito cosa significhi questo.
I verificatori dispongono di percentuali di ricarico medie per ogni settore di attività.
“Ma la contabilità è corretta ed è tenuta bene!”
Questo metodo è applicabile anche in presenza di contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, in quanto molto spesso non esistono criteri di ragionevolezza nel comportamento antieconomico dell’imprenditore.
In altri termini,
NO, L’IMPRENDITORE NON PUÒ DECIDERE DI GUADAGNARE POCO
Enrico salta quasi sulla sedia e, come buona parte di quelli che incontro con la stessa casistica, esclama: “Ma questa è una dittatura?”
Provo a dirgli di togliersi il suo mantello, di pensarsi in mezzo ad una giuria (di quella un po’ all’americana, che rende di più l’idea emozionale) e di immaginare un contribuente qualsiasi alla sbarra dei tribunali americani a cui viene chiesto:
“Ma è dignitoso per i diritti umani che un imprenditore guadagni di meno di un suo dipendente? Lo sta facendo perché è un masochista oppure perché forse nasconde dei ricavi che non ha dichiarato?”
Enrico abbassa un po’ la testa e poi mi guarda e mi dice: “Sa che ha ragione? Però noi veramente non ci distribuiamo contanti, fatturiamo tutto!”
Lo so Enrico, forse la società non tiene un inventario di magazzino ben fatto e non fa un accurato controllo di gestione.
E forse, se ci pensiamo bene, questa forma di accertamento è anche una tutela per l’imprenditore, per rendersi conto che così le cose non vanno.
IL BASTONE E LA CAROTA
Mi domanda poi quali possibilità ci siano di vincere questo accertamento, perché effettivamente lui non ha commesso niente di male, ha solo lavorato tanto e qui si tratta di perdere beni che sono di famiglia (questo lui non se lo perdonerebbe, giustamente).
Lo consolo, c’è una recentissima Sentenza di Cassazione (la n. 9901/2020) che precisa che se il contribuente contesta il ricarico effettuato dai verificatori, il giudice deve controllare la fondatezza ed attendibilità dei calcoli rispetto all’attività di impresa. A tal fine diventa fondamentale conoscere il numero di campioni utilizzato per la determinazione di tale ricarico.
E’ un palliativo in realtà…..di sentenze in Italia ne abbiamo tante…..la solita mancanza della certezza del diritto.
Ci lasciamo con l’impegno da parte di Enrico di inviarmi la documentazione per capire bene cosa sia stato accertato….quel missile al suo cuore che lui non vorrebbe nemmeno toccare!